CityWave sarà il più grande parco fotovoltaico integrato in un edificio a Milano

CityWave sarà il più grande parco fotovoltaico integrato in un edificio a Milano, ma non sarà solo questo. Sarà un gesto architettonico ambizioso, un simbolo tangibile di quella Milano che, senza fare troppo rumore, cambia pelle, respira sostenibilità e reinterpreta l’idea stessa di spazio urbano. In mezzo ai grattacieli lucidi e alle geometrie verticali di CityLife, l’intervento firmato dallo studio danese BIG (Bjarke Ingels Group) si annuncia come un ponte tra ingegno e futuro, capace di mettere d’accordo ingegneria, bellezza e impatto ambientale. Non un grattacielo in più, ma un’onda architettonica che accoglie, ripara e produce energia.
La prima pietra è stata posata con l’entusiasmo di chi sa che si sta costruendo qualcosa di più di un edificio. Il suo tetto — un’ala fluida che si distende per oltre undicimila metri quadrati — sarà completamente rivestito di pannelli fotovoltaici. A progetto ultimato, sarà il più esteso parco solare su edificio mai realizzato in città. Milano si guarda allo specchio e, questa volta, riflette il sole.
Un’architettura che accarezza la terra
Non sfida il cielo, CityWave. Lo sfiora appena, con rispetto. Si sviluppa in orizzontale, come se volesse abbracciare la città piuttosto che dominarla. I due edifici che lo compongono — uno di 50 metri e l’altro di 110 — sono collegati da un portico dalle linee sinuose, un gesto morbido nel contesto tagliente delle torri vicine. Sotto questo portico, non solo passaggio e riparo, ma una vera piazza coperta, aperta e viva.
La forma non è un capriccio. Ha memoria e ispirazione. Riprende, con intelligenza e misura, la struttura della Galleria Vittorio Emanuele II. Ma qui, invece di stucchi ottocenteschi e vetri colorati, c’è acciaio, vetro e tecnologia integrata. Il portico, come una grande vela tesa tra i due volumi, è il cuore energetico e sociale del progetto. Sotto la sua ombra, l’idea di spazio pubblico si rinnova. Qui il vento passa, il sole filtra, e l’energia si raccoglie silenziosa sulle superfici del tetto.
Un’architettura che non si impone ma accompagna, che non pretende ma suggerisce.
Il fotovoltaico come scelta strutturale, non decorativa
La sostenibilità, qui, non è un’aggiunta, non è una patina di greenwashing. È incastonata nel DNA del progetto. Gli oltre 11.000 metri quadrati di pannelli solari copriranno il portico come scaglie di luce, generate per restituire energia pulita alla struttura stessa. Non si tratta di un impianto appoggiato in cima: è un sistema integrato, pensato sin dall’inizio come parte essenziale dell’edificio.
Non solo produzione. L’energia verrà immagazzinata, ridistribuita e utilizzata in un’ottica di autoconsumo. Un bilancio energetico che tende al positivo, grazie anche a una serie di accorgimenti tecnologici avanzati: dal recupero delle acque meteoriche ai sensori intelligenti per l’illuminazione e la climatizzazione. Il tutto progettato per garantire una riduzione dei consumi del 45% rispetto a edifici di pari dimensioni.
In un mondo dove le parole “sostenibilità” e “innovazione” spesso vengono lanciate a caso come coriandoli, CityWave le riporta a terra, con concretezza e visione.
CityWave nel respiro di CityLife
CityWave non nasce in un deserto, ma in un luogo già trasformato. CityLife è il volto nuovo di Milano, quello che si è lasciato alle spalle i padiglioni della vecchia Fiera per diventare un quartiere simbolo della rigenerazione urbana. Qui, tra le linee oblique della Hadid Tower e le curve gentili della Libeskind Tower, l’onda di CityWave porterà un equilibrio visivo e funzionale nuovo, come il ritornello inatteso che cambia il ritmo di una melodia già nota.
Con la sua presenza, il progetto completa il disegno di un’area che già ospita spazi residenziali, uffici di alto profilo, parchi e percorsi ciclopedonali. Ma soprattutto, ne restituisce una parte alla collettività, con quel suo portico aperto, pronto a diventare punto d’incontro, passaggio urbano, contenitore di vita quotidiana.
In questo scenario, CityWave non è solo un edificio tra altri. È una cerniera tra la verticalità delle torri e l’orizzontalità del paesaggio urbano. Una struttura che collega, avvolge, dialoga.
Una nuova grammatica urbana
C’è qualcosa di profondamente italiano — e insieme europeo — in questo progetto. L’arte di costruire bellezza funzionale, la capacità di unire rigore tecnico e ispirazione creativa. Eppure, lo sguardo è ampio, internazionale. Bjarke Ingels, con la sua firma riconoscibile, non ha imposto un’idea, ma ha tessuto una narrazione urbana coerente con Milano, interpretando l’identità del luogo senza stereotipi.
CityWave parla la lingua della città, ma ne inventa una nuova declinazione, fatta di trasparenze, riflessi, tecnologie nascoste e proporzioni accoglienti. Non urla la propria presenza, la sussurra attraverso i dettagli. E in questa discrezione trova la sua forza.
In fondo, non è più tempo di architetture monumentali. È tempo di architetture che pensano, che restituiscono, che respirano. E CityWave, in questo, è già avanti di un passo. O forse di un’onda.
Epilogo: luce che abita le città
Quando sarà inaugurato, presumibilmente entro la fine del 2025, CityWave non sarà semplicemente completato. Sarà iniziato. Perché edifici come questo non finiscono con l’ultimo pannello installato. Iniziano quando cominciano a interagire con le persone, a cambiare i percorsi, a lasciare un’impronta invisibile nelle abitudini di chi li attraversa.
Sotto quell’enorme tetto fotovoltaico si consumeranno caffè in piedi, si correrà al riparo dalla pioggia, si terranno eventi, si faranno pause e si intrecceranno storie. Non sarà solo energia solare, sarà energia umana.
CityWave, alla fine, è un’idea semplice. Costruire qualcosa che produca più di quanto consuma. Energia, certo. Ma anche spazio, tempo, possibilità.
E se questa è l’onda, Milano sembra pronta a cavalcarla.